martedì 15 aprile 2008

Anonimo ha detto... a proposito di "Capita a volte d'autunno"

Questo commento ha il sapore di un post. Per questo ho deciso di pubblicarlo. C'è una grande amarezza di fondo in queste parole. Non so se parlino alle mie per dire dell'impossibiltà di ciò che fanno intravedere. Ma non inporta. E' proprio perchè certe cose sono sempre più difficili da praticare nei luoghi formali dell'educazione, che osservo con preoccupazione la tendenza dei genitori a non offrirle a loro volta. Mi chiedo se vogliamo arrivare ad avere porte antipanico anche nel proprio appartamento e se dobbiamo vietare alla nonna di preparare dei dolcetti perchè potrebbero essere veicolo di pericolose infezioni gastrointestinali...

"Un giorno è capitato, è capitato un giorno di dicembre che l'educatrice di un nido si sia messa a giocare con le foglie secche in giardino. E i bambini a seguirla, o lei a farsi seguire, o di tutte e due un pò...Non è che sia successo tutto e subito, ci è voluto un pò, come un pò ci mette la gallina a cercare nell'aia il vermetto. Ci è voluto un pò, un pò di tempo per farsi guardare. Ci è voluto un attimo per provare piacere, quattordici attimi per far com-prendere ai bambini la bellezza di "stare", nel gioco del piacere e nel suo bello, tondo respiro. Chissà come mai. Forse perchè quei bambini erano tristi e addirittura violati in quel nido? Forse perchè quel nido era un posto di matti, poi finito sotto inchiesta? Forse perché lei stessa stava andando fuori di matto? Mah, non lo sa mica l'educatrice se la faccenda sia tutta qui. Un'altra volta, in un altro nido, si era tolta le scarpe, "per davvero". E par far sentire ai bambini la sabbia "per davvero", le era toccato di provare piacere. Errore, e il gelo intorno. Un gelo educativo intendo, mica emotivo. Recidiva la fanciulla, se, come sostieni, il piacere non è oggetto di laboratorio e, in quanto tale, non esponibile allo sguardo di infanti, dentro e fuori le stanze pedagogiche. Sempre ammesso che il piacere sottenda tutte e due quegli altri, che richiami gridando: il rischio e l’ esplorazione. Si domanda la fanciulla: che facciamo? i nostalgici, i post moderni, i qui-ed-ora? non lo sa la fanciulla che, tra il ruzzolare e il razzolare, sceglierebbe entrambi.Scafata e prudente, questa volta lo farebbe "per finta", mica "per davvero”…
14 aprile 2008 14.56"

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Prevenzione/protezione, prevenzione/gestione del rischio,
questi sono i rapporti a cui siamo stati educati, che per altro hanno anche prodotto degli esiti positivi...si pensi alla medicina .Ora,però, le reti sono più elaborate degli oggetti da catturare. Forse il "rischio" ha imparato a farsi talmente piccolo da sfuggire a tutte le nostre precauzioni.
Ma poi rischiare perchè?
Rischia bene chi non ha niente da perdere o tutto da guadagnare, come i bambini.

Anonimo ha detto...

mi ritrovo con questo commento che sembra risuonare con la discussione sulle nonne.
proteggiamo troppo? forse si.

alcune precauzioni di tutela sembrano eccessive, e perfino ridicole, e così vincolanti da non permettere ad altri di esplorare le possibilità, che invece noi stessi abbiamo già esplorato.
le foglie, il cortile, il nascondino, la casa sull'albero, il libero razzolare o vendere 3/4 albicocche, poggiate su una scatola di cartone, lungo una assolata stradina di campagna ligure. ognuno ha avuto il suo diverso e libero razzolare se nato prima degli anni 80 (?)

il rischio non solo s'è fatto piccolo e sfuggente sempre/comunque alle maglie dalla nostra rete, ma la nostra rete non va più bene per quel rischio.
la sfida è cogliere il nuovo rischio, mostrarlo e rilanciarlo, pure nella consapevolezza che alcune cose/esperienze perdute sono pura perdita...
il rilancio ci deve essere perchè qualcuno lo affronti, prepari reti, e apprendimento su quel rischio; mentre un nuovo rischio si andrà creando nel buio in attesa del suo turno e del suo apprendimento.

monica

Anonimo ha detto...

Si. Perché qui stiamo tutti parlando di riscatto, oltrechè di rischio. Forse è così, con buona pace dei miti fondativi dell’educazione che ci vogliono, ancora e sempre, cacciatori e ascoltatori. E, forse, qui, ci tocca di fondere gli uni e gli altri, o di trans- formarli, o di cercarne di nuovi, se mai ne sentissimo il bisogno. Qui, che ci piaccia o meno, stiamo giocando il gioco del Resistere.
Ci viene la faccia verde quando ci sbracciamo ad insegnare cose che in pochi hanno voglia di ascoltare, aggrappati alla consapevolezza che, infondo, anche noi, abbiamo imparato molto, anzi tantissimo, senza sapere di farlo. Srotolare biografie pare facile ma farlo accanto allo sguardo di un altro, per lasciarsi dall’altro raccontare, lo è di meno. E zitti, e muti, per qualche istante almeno, di splendida commozione.
Mi eccita da morire la riflessione sul rischio nelle reti, e varchi la soglia della mia amarezza.
Come genitore affidataria , nelle reti, ho imparato a nascondermi, non a rischiare. Ovvero, a rischiare in privato, assumendo, a mò di giocoliere, l’esito paradosso di un esperienza pubblica.
Imparare dal nuovo cha avanza è un po’ “raccontarsela”, ma che altro sappiamo fare se non cercare nel restante “po’” il senso di quel resistere?
I bambini non hanno niente da perdere; i grandi credono, a volte, che tra il perdere e il guadagnare ci sia soltanto un lancio di dadi, e non importa il lato che compare. Lanciare dadi non ha a niente a che fare col controllo del rischio, ma col deciderlo.
L’unica precauzione è che quel che rischi lo puoi anche insegnare.
Ci hanno insegnato che la precauzione somiglia alla paura, ma è soltanto l'altra faccia dell'eccitazione. E, forse, c'è una sola legittima precauzione che, da sotto e da dentro, solletica il rischio, lo scuote: si chiama pazienza. E' paziente il genitore che lascia ruzzolare il figlio (tum-tum- tum-tum il rumore dell'ansia che implacabile lo attanaglia), paziente chi insegna qualcosa a qualcuno e, insegnando, si gusta la faccia di chi lo ascolta. Ci sono racconti eccitati, ma senza fretta.
E quel che succede succede. Curiosa pretesa l'insegnare.
E poi, in questo zoo antropomorfo, la gallina sa forse se cercando troverà il suo vermetto? la gallina non lo sa, e nemmeno il bambino che ieri, nel cortile di casa, non trovando un verme da accasare dentro a un bormioli ci ha infilato uno scorpione.
"Ma non respira!" ho gridato.
Che aveva da perdere? aveva il suo barattolo, il suo animale, l'aveva FATTO.
Chissà dove corre la differenza tra il catturare uno scorpione di nascosto e catturarlo con l'approvazione del padre, appena scivolato dentro casa...
Ode all'ineffabile dice la pedagogia, e dice bene, vivaiddio.
Ma, sollecitata a pensare ai genitori, un dubbio mi pervade. Qual è il compito nostro? Spacciare valium sottobanco col sorriso buono del venditore di fiori di bach, oppure tirar fuori scorpioni vermi foglie e galline dal nostro onirico terrore, di vivere e di rischiare?
E, pensando alle reti: è sufficiente un rischio che le allarga o ne occorre uno che le violenti?
Intanto che ci pensiamo, avercela una nonna che sforna dolcetti, avercelo un verme da coccolare. Per tutte le volte che abbiamo fatto il pieno di coccole attanagliati da una gastroenterite, e per quelle in cui - in quanto vermi- abbiamo strisciato, e strisciando (rischiando), abbiamo imparato il senso della terra, attaccati a due impudiche ali.