mercoledì 12 dicembre 2007

Càpita, a volte, d’autunno


Càpita che in autunno i viali siano coperti di foglie multicolori. I platani in particolare ne sono generosi in novembre, regalando a marciapiedi e strade un tappeto destinato a scricchiolare come un bosco, almeno sino all’arrivo di spazzini solerti, pronti a ristabilire l’ordine del cemento.
In un parco gioco poi, è facile che il vento raduni, con pazienza da cane pastore, melanconici mucchi di fronde estive ormai ingiallite, negli angoli lontani dai giochi e a ridosso delle panchine.
Càpita anche di sentir accompagnare questo trionfo di colori dal calpestìo elettrizzato di piedi bambini che, alla faccia del passar delle generazioni, continuano a trovare testardamente magici i mucchi di foglie secche.
Càpita del resto, di vedere piedi adulti inseguire preoccupati quei piedi bambini, per dissuaderli dall’infilarsi in quel pericoloso ricettacolo di chissà quali invisibili insidie. Come stamattina quel giovane padre che stronca sul nascere lo sguazzamento arboreo del figlio di un paio d’anni, dicendogli di non ruzzolare come una gallina nell’aia. Chissà che intendeva dire. Forse che poteva inciampare su un picciolo rinsecchito e ruzzolare a gambe all’aria? Vivaddio! Un pericolo quasi mortale. Ma che c’entrano le galline? E l’aia poi, sono decenni che nessun bambino gioca in un’aia, e quei pochi che lo fanno dovrebbero essere protetti dal WWF. Però “aia” resta una parola curiosa, piena di vocali, che ancora alberga nei sussidiari e nei libri di storie, mitologica e irraggiungibile quanto Principi, Principesse e Tartarughe Ninja.
Forse è per questo che il giovane padre è incorso in un capitombolo filologico, confondendo il ruzzolare con il razzolare proprio di un mondo gallinesco anch’esso scomparso, visto che le aie hanno ceduto il posto agli allevamenti in batteria dove ai pennuti è difficile muoversi, figurarsi andar di qua e là becchettando e raspando con le zampe il terreno alla ricerca di cibo.
Càpita in compenso di veder bambini razzolare in mezzo alle foglie solo se l’esperienza è condotta in un laboratorio, come possiamo chiamarlo? di “esperienza sensoriale”, rigorosamente delimitato e possibilmente con un manto di appendici arboree rigorosamente selezionato e preventivamente setacciato.
Magari quel bimbo di questa soleggiata domenica mattina di novembre, prossima settimana potrà rifarsi dell’esperienza soffocata sul nascere dal babbo in qualche angolo dedicato all’autunno nel suo bel Nido sotto casa. Glielo auguriamo. Poi, certo, da qualche parte nel suo formando cervello si attesterà l’idea che per razzolare, o per ruzzolare che a questo punto saranno la stessa cosa, occorre avere un luogo appositamente attrezzato e qualcuno che ti permetta di farlo dalle alle e nella misura in cui. O per lo meno, che queste siano le condizioni per poter razzolare (ruzzolare) bene…
Da qualche altra parte delle molteplici intelligenze pedagogiche, invece, ci si chiede com’è che lo spirito esplorativo e la capacità di rischiare con responsabilità e intelligenza, nelle nuove generazione siano virtù in caduta libera.
Mah. Capita.